I Libri di AAR

Jean Dumas d’Aigueberre
SECONDA LETTERA DEL SUGGERITORE
DELLA COMÉDIE DI ROUEN AL GARZONE DEL CAFFÈ
Traduzione, introduzione e note di Valeria De Gregorio Cirillo
I Libri di AAR

 

Jean Dumas d'Aigueberre, Seconde lettre du Souffleur de la Comédie de Rouen à la lettre du garçon de caffé, ou entretien sur les defauts de la declamation
Paris, Chez Tabarie, 1730

Introduzione, traduzione e note di Valeria De Gregorio Cirillo
Copyright © 2012 Acting Archives
ISSN: 2039-9766

 

Jean Dumas d’Aigueberre
Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen
al garzone del caffè, ovvero conversazione sui difetti della
declamazione
Introduzione, traduzione e note di Valeria De Gregorio Cirillo
Introduzione
Piuttosto scarne le notizie su Jean Dumas o du Mas d’Aigueberre, si sa che
era nato a Tolosa il 6 settembre 1692 (e ivi muore il 31 luglio 1755) e che
aveva ricoperto la carica di Consigliere del Parlamento di quella città. La
sua attività di magistrato non gli impediva di nutrire uno spiccato interesse
per il mondo teatrale, viste le pubblicazioni in tal campo che si
susseguiranno per un periodo di tempo breve, eppure molto ricco per gli
spunti di riflessione proposti. Come molti autori del tempo egli cerca di
affermarsi in campo teatrale, dato che il palcoscenico, in caso di successo,
era in grado di offrire considerevole visibilità. Era ben introdotto negli
ambienti teatrali tanto da riuscire a far rappresentare al Théâtre-Français
(allora anche conosciuto come Théâtre de la Rue des-Fossés-Saint-Germain
o come Comédie-Française), il 6 luglio 1729, un lavoro teatrale intitolato Les
Trois Spectacles [I tre spettacoli].1
La novità offerta dall’autore risulta assai curiosa in quanto il testo è
composito, costituito in ordine successivo da una tragedia in un atto in
versi: Polixène;2 da una commedia in un atto in prosa: L’Avare amoureux3 e
da una pastorale eroica in un atto: Pan et Doris, con cori e balletti su musica
di Jean-Joseph Mouret (1682-1738), il tutto introdotto da un Prologo
anch’esso in forma dialogica. Il Prologo ha la funzione di contestualizzare la
rappresentazione e di giustificare una scelta di spettacolo così inusuale; il
critico del «Mercure de France» lo definisce ‘ingegnoso’ perché esplicita
1 Il testo è stampato a Parigi, chez Tabarie, M. DCC. XXIX. Se ne ha notizia in Recherches sur
les théâtres de France, Depuis l’année onze cens soixante & un, jusques à présent par M. de
Beauchamps, A Paris, chez Prault, M. DCC. XXXV, 3 voll., vol. II, p. 529, ad vocem Dumas
Daiguebert [sic], unitamente alla segnalazione dei suoi altri testi. I fratelli Parfaict nel loro
Dictionnaire des théâtres (3 voll., Paris, Rozet, 1767), lo citano alla voce Dumas d’Ayguebere
[sic], vol. I, p. 345.
2 Una tragedia con questo titolo di Antoine de La Fosse era stata rappresentata alla
Comédie-Française il 3 febbraio 1696.
3 La commedia viene ristampata nell’ultimo tomo della Collection des théâtres François,
«Comédies en prose. V», 15 voll., Senlis, Tremblay Imprimeur, 1829, (vol. 15, pp. 256-302).
Nella breve Notice che precede il testo dei Trois Spectacles, questi vengono definiti come «una
specie di macedonia drammatica» (p. 254).
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l’audacia del progetto e soprattutto la stranezza di una tragedia in un atto.4
L’azione del Prologo si svolge in una casa di campagna: i vari personaggi si
confrontano sulla difficoltà di dover scegliere fra tre opere di diverso
genere per una rappresentazione privata allo scopo di divertire gli invitati.
I pareri sono discordi e abilmente l’autore si serve di questo preambolo
metateatrale per prevenire le critiche e giustificare il proprio operato. Al
Commendatore che si stupisce che un autore componga una tragedia in un
atto, il che si oppone «a tutto ciò che c’è di più sacro nella Poetica», la
Marchesa ribatte che al contrario si tratta di una novità degna di imitazione
e che forse farebbe fortuna alla Comédie-Française. L’autore ancora
«timido» e poco sicuro delle proprie forze, nel timore di annoiare non ha
l’ardire di obbligare il pubblico ad assistere a due ore di spettacolo. Il
Commendatore è poco convinto che si possa comporre una tragedia in un
solo atto; al contrario della commedia che può far ridere fin dalla prima
scena, la tragedia richiede una preparazione per emozionare e secondo i
dettami aristotelici pervenire alla pietà e al terrore. Uno degli astanti per
mettere tutti d’accordo propone di recitare le tre pièces in successione,
scelta che viene approvata all’unanimità secondo una progressione logica
che risponde alla preminenza dei generi, prima la tragedia, poi la
commedia e infine la pastorale.
Nella tragedia, Polissena, figlia di Priamo, confessa alla confidente Egina il
suo amore colpevole per Pirro, vincitore a Troia e assassino del padre;
anche Pirro ama Polissena, ma la sua proposta viene da lei rifiutata.
Tessandro, confidente di Pirro, reca la notizia che l’oracolo chiede il
sacrificio di Polissena, l’intervento di Pirro sembra poterla salvare, ma ella
non accetta le sue profferte e si uccide. Certo, nelle brevi dieci scene in cui
si articola la tragedia l’interesse ristagna e non c’è nessun rovesciamento
delle situazioni iniziali, né possibilità di cambiamento nei personaggi dai
caratteri necessariamente appena abbozzati.5
Forse più valida scenicamente è la commediola dell’Avaro innamorato, dove
i colpi di scena si susseguono e l’intrigo resta sospeso fino allo
scioglimento. Argante, attempato magistrato, è deciso a chiedere la mano di
Julie, ma è avaro e forse anche più del padre di lei, Geronte. La giovanetta è
contraria al matrimonio perché innamorata di Valère. Nel dialogo fra
4 «Mercure de France», luglio 1729, p. 1640. Nel lungo resoconto in cui l’articolista offre un
riassunto preciso dei testi e ne riporta alcuni brani scrive anche che «l’autore ha avuto il
piacere di vedere che la sua prima opera ha riportato un suffragio unanime» («Mercure de
France», luglio 1729, pp. 1640-1660).
5 L’articolista del «Mercure de France», annota che «la tragedia è stata applaudita e ha
suscitato grande interesse malgrado i limiti angusti degli eventi che l’autore è stato costretto
a precipitare. Il signor du Fresne e la Demoiselle du Fresne, sua moglie, vi recitano nei due
ruoli principali, in modo siffatto da attirare i suffragi di tutti gli spettatori» («Mercure de
France», luglio 1729, pp. 1645-1646).
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Argante e Nerina, confidente di Julie, che apre la commedia,6 si prospetta
tutta una vita senza feste, in una brutta casa della rue Mouffetard, di una
semplicità spartana. Dorimène, sorella di Géronte, di fronte alla
disperazione della nipote, promette di aiutarla facendo credere ad Argante
di volerlo sposare. Il vecchio magistrato, attratto dalla rendita cospicua di
Dorimène e spinto da Nerina ad attuare una «così nobile decisione», dopo
vari tentennamenti e ripensamenti in un susseguirsi di scene ritmate come
un balletto,7 acconsente al matrimonio. Naturalmente è tutto un raggiro, e
saranno i due giovani a firmare il contratto nuziale.
Nella pastorale eroica, infine, la pastorella Doris giura eterno amore a Pan
che le si presenta avendo assunto le fattezze del suo antico spasimante
Palémon. Ma al ritorno di quest’ultimo che le dice di sentirsi liberato dalla
schiavitù amorosa e che in passato l’aveva rifiutato, Pan le confessa la
verità e Doris accetta felice la profferta amorosa del dio. Questa è senza
dubbio la parte più debole dello spettacolo.8
Che l’Avaro di d’Aigueberre costituisca una continuità nel repertorio
comico è messo in evidenza da un breve commento apparso nella Collection
des théâtres François9 che riconosce nel suo stile la marca della scrittura di
Dancourt e di Palaprat che viene traghettata nei tempi moderni: «Diversi
autori contemporanei che credevano la pièce del tutto dimenticata, ne
hanno riscritte sullo stesso argomento e non hanno avuto alcuna difficoltà
nel trasporre quanto avevano trovato di buono». La commediola sarà
rappresentata, seppur molto saltuariamente, fino al 1780.10
6 A ragione il «Mercure de France», chiosa che la prima scena serve a esporre l’argomento
della pièce e a offrire un’idea dei caratteri che vi saranno illustrati (Cfr.: «Mercure de
France», luglio 1729, p. 1646).
7 Attingendo alla critica del «Mercure de France» leggiamo che «le scene abbondano più in
azioni che in parole, tanto da poter dire che si agisce più di quanto non si parli. Sarebbe da
augurarsi che il successo della pièce spinga gli autori a imitarla invece di offrire un tessuto
di conversazioni legate le une alle altre durante tutta l’azione teatrale: questo difetto è
quanto mai imperante e tutti se ne dolgono». In quanto agli attori: «la pièce è molto bene
interpretata dai signori Dangeville e du Chemin e dalla signorina Quinaut [sic] che
interpretano rispettivamente i ruoli di Geronte, di Argante e di Nerina» («Mercure de
France», luglio 1729, p. 1654).
8 Scrive infine il «Mercure de France» a proposito della pastorale che essa è stata eseguita al
meglio: «i signori Quinault e du Fresne hanno suscitato gli applausi e la demoiselle
Lecouvreur ha fatto vedere che i suoi talenti non si limitano alla sola declamazione. Il
balletto si è avverato molto vivace e allegro» («Mercure de France», luglio 1729, pp. 1659-
1660).
9 Collection des théâtres François, cit., pp. 254-255.
10 Secondo Alexandre Joannidès (La Comédie-Française de 1680 à 1900 – Dictionnaire général des
pièces et des auteurs, Paris, Plon, 1901) la pièce figura nel repertorio della Comédie-Française
rispettivamente nel 1730 (1 spettacolo), 1733 (2), 1737 (3), 1742 (1), 1752 (2), 1780 (3).
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Maupoint11 nella sua Bibliothèque des théâtres menzionando Les Trois
Spectacles aggiunge che il successo ottenuto12 ha ispirato una parodia messa
in scena una sola volta il 3 settembre 1729 al Théâtre-Italien (Hôtel de
Bourgogne) dal titolo Melpomène vengée ou les Trois Spectacles réduits à un et
les Amours des déesses à rien13 ma senza esito favorevole, tanto che l’autore,
Louis de Boissy, l’ha subito ritirata per apportarvi dei cambiamenti. Il
resoconto dello spettacolo è riportato dal «Mercure de France»14 e viene
descritto in dettaglio. La prima scena si svolge sul monte Parnaso ai piedi
del quale Melpomene è addormentata; quando si risveglia di soprassalto si
accorge che il vestito le è stato accorciato durante il sonno e giura di
vendicarsi dell’autore dell’oltraggio. Compare poi Diana che le fa presente
che entrambe sono state insultate in un balletto intitolato Gli amori delle dee.
Nella scena successiva vengono personificate l’Opéra, la Comédie-
Française, la Comédie-Italienne e l’Opéra-Comique che si lamentano della
confusione che avviene con gli spettacoli sui loro palcoscenici, infine si
rappresenta l’azione principale.
L’attore che interpreta i Tre spettacoli appare come una specie di mostro a
tre teste, simile a un nuovo Cerbero o piuttosto a una triplice Ecate: col
capo coperto da un cimiero, reca in mano la verga del pastore, ai piedi
porta coturni e ha un manifesto della Comédie sul petto. Melpomene, per
punirlo del suo gesto sacrilego, lo fa degradare privandolo di tutti gli
attributi, tranne del manifesto della Comédie, a significare che della pièce
solo si salva la commediola dell’Avaro amoroso. Alla condanna segue un
balletto su musica di Mouret e il vaudeville finale in versi.
Per completezza d’informazione va infine ricordato che lo stesso
d’Aigueberre rappresenta alla Comédie-Française una parodia in un atto in
versi della sua tragedia Polissena dal titolo Colinette che, come specificano i
Parfaict nel loro Dictionnaire des théâtres,15 va in scena unicamente il 4
settembre di quell’anno; il testo non venne mai pubblicato.
Alla critica su Les Trois Spectacles d’Aigueberre ribatté con una Lettre d’un
garçon de caffé au souffleur de la Comédie de Rouen sur la pièce des Trois
Spectacles,16 seguita, l’anno successsivo, da una Réponse du souffleur de la
11 Maupoint, Bibliothèque des théâtres, Paris, Prault, 1733, p. 309.
12 Joannidès recensisce nell’anno venti recite (La Comédie-Française de 1680 à 1900, cit.).
13 La parodia in un atto in prosa con vaudeville [Melpomene vendicata ovvero i Tre spettacoli
ridotti a uno e gli Amori delle dee a niente] era stata scritta da Louis de Boissy, detto Bonnefoy
(1694-1758) e musicata da Jean-Joseph Mouret (1682-1738). L’autore prima della parodia del
testo di d’Aigueberre, presenta quella su Louis Fuzelier (1672-1752), Les Amours des déesses:
si trattava di un’opera, su parole di Fuzelier e musica di Quinault, andata in scena il 9 agosto
1729.
14 «Mercure de France», settembre 1729, pp. 214-217. L’articolo viene ripreso da François et
Claude Parfaict nel loro Dictionnaire des théâtres, cit., vol. III, pp. 376-379.
15 Ivi, vol. I, p. 346.
16 Paris, chez Tabarie, M. DCC. XXIX. Lettera lunga e circostanziata: 44 pp.
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Comédie de Roüen à la lettre du garçon de caffé stampata dallo stesso editore.
Che il dibattito interessasse il pubblico è testimoniato dall’articolo che il
«Mercure de France» dedica alla Lettera:
la brochure costa solo due soldi e ce n’è stata una tale richiesta che in meno di
un mese si è ristampata una seconda edizione. Vi si suppone che Claude, un
garzone del Caffè di Gradot vicino al Pont-Neuf, intrattenga una relazione
letteraria con il suggeritore della Comédie di Rouen, al quale spiega in modo
ingenuo la sua idea sulla pièce dei Tre spettacoli. L’autore parla di certo come
gli eruditi e i «beaux esprits», si vede che a forza di ascoltare ha assimilato a tal
punto il loro linguaggio che tutta la lettera è infarcita delle parole che ha
sentito. Per poter gustare appieno la lettura di questa brochure è necessario
aver visto la pièce, che si vende molto bene ed è pubblicata dallo stesso libraio
presso il quale si trova anche la risposta, appena data alle stampe, e che si dice
sia ancora più interessante.17
È quindi a questo fantomatico Claude che d’Aigueberre delega la sua voce:
il garzone, su richiesta del suggeritore di dargli un suo parere sullo
spettacolo, si appresta a soddisfare tale curiosità con il resoconto del
«fenomeno drammatico che ha occupato così a lungo, durante il mese
scorso, il Théâtre-Français» e in contempo dei «charivaris spirituels»
[schiamazzi intellettuali] degli avventori del caffè, che tuttavia devono
restare segreti. Lui stesso non ha assistito alla rappresentazione
essenzialmente per due motivi, a causa del suo lavoro innanzitutto, ma
anche perché, volendo esprimere un’opinione imparziale ha preferito
leggere la pièce in quanto «il fascino seduttore del palcoscenico» avrebbe
potuto falsare il suo giudizio.18 Naturalmente la lettera alterna al racconto
del contenuto della pièce i giudizi della critica e il pensiero dell’autore. Così
se Claude sembra d’accordo nel riconoscere che l’idea del prologo è banale
e di scarsa immaginazione, la tragedia, pur nei limiti imposti dalla brevità,
offre spunti interessanti: essa appare, in un susseguirsi di immagini
retoriche, «audace nei sentimenti, accortamente dialogata con situazioni
piacevolmente terribili che modificano teneramente il cuore o lo agitano
con gradevoli sussulti, anche grazie a una versificazione scorrevole,
armoniosa, coraggiosa, energica e alla ricchezza delle rime». Si ribella
17 «Mercure de France», ottobre 1729, pp. 2460-2461.
18 È interessante notare quanto un autore contemporaneo abbia un parere simile a quello del
Nostro. Pierre Alexandre Lévesque de La Ravallière, prendendo spunto dal successo della
Medea di Longepierre interpretata dalla Balicourt, afferma che «l’arte della declamazione è
altrettanto bella, grande e necessaria quanto il testo poetico. Credo anzi che esaminando e
leggendo una tragedia, per quanto perfetta sia è impossibile scorgervi e scoprivi in tutta la
loro ampiezza alcune bellezze che risplendono e si sviluppano solo sul palcoscenico», Essay
de comparaison entre la déclamation et la poésie dramatique par M. L….. à Paris chez la Veuve
Pissot et Jean-François Tabarie, MDCCXXIX, p. 7. Anche d’Aigueberre nella sua Seconda
lettera menziona il successo della Balicourt (cfr. infra).
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contro una critica ottusa che vuole stroncare a ogni costo le novità e che
non tiene in debita considerazione l’impegno dell’autore nel rispettare le
regole delle unità e delle bienséances: il finale, infatti, scrive, appare in totale
armonia col ‘coturno’.
Gradevole appare poi la lettura della commedia, ironica in alcuni passaggi
e attenta a una comicità di fondo che si intravede nella scelta, ad esempio,
dei nomi dei notai, i Signori Subtil (sottile, nel senso di arguto, pignolo) e
Courteligne (linea corta). Tuttavia, se la Musa nascente non viene sostenuta
e se le opere nuove vengono rifiutate o guardate con sospetto bisognerà
assuefarsi a un teatro che porti in scena solo tragedie quali la Medea di
Longepierre, il Venceslao di Rotrou o il Manlius Capitolinus di La Fosse e
rinunciare da subito all’impari lotta fra Antichi e Moderni.
La Risposta del suggeritore, che porta la data del primo giugno 1730
(mentre la Lettera era del 20 luglio 1729) e giustifica il prolungato silenzio a
causa di una lunga e grave malattia, è di tutt’altro tenore e sfiora solo in
parte il contenuto della Lettera che viene analizzata, seppur brevemente in
modo dettagliato, offrendo così a d’Aigueberre la possibilità di ribadire e
completare il proprio punto di vista. Se si trova d’accordo sul fatto che il
Prologo non sia una novità, tuttavia aggiunge che, paragonandolo a uno dei
tanti prologhi delle pièces in voga, si distingue per la sua grande semplicità
ben lontano da «tutto quel pindarismo irto di lodi insulse ed enfatiche» che
li contraddistingue. Il giudizio di Claude non si discosta, di certo, da quello
del comune sentire, ma il suggeritore tiene a sottolineare quanto la novità
della tragedia in un atto sia un’innovazione degna da imitare, e come nel
complesso i Tre spettacoli costituiscano una pièce unica nel suo genere e
godibile per la sua singolarità. Nella prima parte della risposta il
suggeritore si era dilungato sul disegno di Claude di diventare autore
prospettandogli tutte le difficoltà inerenti a chi decide di intraprendere il
mestiere di letterato, soprattutto se si è inesperti e ingenui. È una riflessione
agro-dolce sulle velleità artistiche che lo stesso d’Aigueberre deve aver
accarezzato: non c’è da illudersi, il merito non basta, sono necessari intrighi
e diplomazia, bisogna essere capaci di neutralizzare il rivale, crearsi una
corte di sostenitori, avere l’abilità di insinuarsi, di nascondere le proprie
pecche, facendosi vanto anche di ciò che non si conosce. Soprattutto non ci
si deve lasciar condizionare dallo stile dei così detti «beaux génies» che
servendosi di termini eterocliti e bizzarri si allontanano dal linguaggio
semplice e naturale. Quel «naturale», che si ritrova anche alla base delle
riflessione di d’Aigueberre sul teatro, è del tutto assente in ciò che egli
giudica come espressioni forzate che sorprendono per la loro novità e che
costituiscono le fondamenta della ciarlataneria e della pedanteria letteraria.
I «neologhi», che ironicamente saranno poi evocati alla fine della Seconda
lettera, sorprendono certo gli sciocchi e gli pseudo-eruditi ma, lungi
dall’arricchire la lingua con quel gergo volutamente originale e affettato,
Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen
221
disseminano le loro opere di insulsaggine noiosa e di oscurità che rende i
loro pensieri ambigui e involuti.
Sono forse anche queste critiche a osteggiare il successo di d’Aigueberre?
Nonpertanto egli si lascia abbattere dall’esito non proprio esaltante della
sua impresa e nel 1730 presenta, sempre alla Comédie-Française, Le Prince
de Noisy, commedia eroica in tre atti in prosa, con un prologo e tre
intermezzi, che va in scena il 4 novembre.19 Maupoint20 annota che la pièce
non sembrava particolarmente adatta per quel palcoscenico, l’argomento
essendo tratto da una favola meravigliosa e poco verosimile quella cioè di
una spada incantata che aveva la capacità di scrivere ciò che si voleva
conoscere. Antoine de Léris21 riprendendo il testo di Maupoint aggiunge
che pur tuttavia vi furono sette rappresentazioni (rispettivamente il 4, 6, 26,
28 e 30 novembre, il 2 e 4 dicembre) ma che la commedia non era stata
pubblicata.22
La Seconda lettera23 non ha alcun rapporto con la precedente, si tratta
piuttosto di uno spaccato degli attori della Comédie-Française attivi da
tempo o che debuttano in quegli anni24 e di una riflessione sulla
declamazione teatrale. Il testo pubblicato anonimo è stato attribuito da
Jules Bonnassies25 a d’Aigueberre, pur senza poterlo suffragare con
19 Il «Mercure de France» nell’uscita di luglio 1730, p. 1634, dà notizia che gli attori stanno
già provando la nuova commedia, notizia che viene ripresa nel numero di ottobre («Mercure
de France», ottobre 1730, p. 2279).
20 Maupoint, Bibliothèque des théâtres, cit., p. 261.
21 Dictionnaire portatif historique et littéraire des théâtres, Paris, Jombert, 1763, p. 364. De Manne
ricorda come primo ruolo creato nella commedia da Mademoiselle Dangeville quello del
«Petit poisson» (Galerie historique des Comédiens Français de la Troupe de Voltaire, Gravés à l’eauforte,
sur des documents authentiques par Henri Lefort avec des détails biographiques inédits,
recueillis sur chacun d’eux par Edmond Denis De Manne, Lyon, N. Scheuring éditeur,
M. DCCC.LXXVII).
22 Tema e stralci della commedia sono riportati nel «Mercure de France» del novembre 1730
(pp. 2482-2490) che aggiunge anche un breve giudizio: «Il signor Dufresne e le attrici Labat e
Dangeville la jeune vi sostengono con grandi applausi le parti principali. Quest’ultima recita
in un ruolo maschile col nome di Poinçon; la finezza della sua recitazione unita al fascino e
all’aria incantevole della sua persona fanno ammirare i suoi fortunati talenti in un’età ancora
acerba. Ella danza un passo a due con grande precisione e vivacità con la Labat, di cui ben
conosciamo la grazia e la distinzione» (p. 2482).
23 Seconde lettre du Souffleur de la Comédie de Roüen, au garçon de caffé, ou entretien sur les défauts
de la declamation, Paris, chez Tabarie, M. DCC. XXX. L’assenso al si stampi del testo
presentato dal libraio Jean-François Tabarie è datato Parigi, 6 luglio 1730 ed è a firma di
Maunoir; viene registrato sul Registre de la Chambre Royale des Libraires & Imprimeurs de
Paris in data 3 agosto 1730.
24 Molti di essi appariranno anche nelle annotazioni giornaliere di Charles Collé: Journal et
Mémoires de Charles Collé sur les hommes de lettres, les ouvrages dramatiques et les événements les
plus mémorables du règne de Louis XV (1748-1772), 3 voll., introduction et notes par Honoré
Bonhomme, Paris, Didot, 1868.
25 Lettre à Mylord*** sur Baron et la Dlle Le Couvreur par George Wink (l’Abbé d’Allainval) -
Seconde Lettre du souffleur de la Comédie de Roüen, au garçon de caffé, ou entretien sur les défauts
AAR Anno II, numero 3 – Maggio 2012
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documenti d’epoca, basandosi piuttosto sull’analogia con la Lettera del 1729
e sull’accenno, alla fine della Seconda Lettera, ai Tre spettacoli. Che il testo sia
stato poco conosciuto dagli studiosi e quasi ignorato dalle bibliografie e
dagli storici del teatro26 è un dato di fatto e Bonnassies nella sua Notice
avanza l’ipotesi che forse le copie non ebbero una larga diffusione e che
furono all’epoca probabilmente acquistate e distrutte per decisione della
Comédie-Française, possibilità adombrata nell’Avis dall’autore stesso.27
Allo scopo di riportare l’attenzione dei cultori del teatro su un testo che non
solo evoca un panorama nutrito di attori, alcuni ormai quasi dimenticati,
ma che propone una prima riflessione sulla pratica della declamazione e
sulla costruzione teorica e la funzione della critica in ambito teatrale, Jules
Bonnassies cura l’edizione di una pubblicazione che riunisce due opuscoli
stampati lo stesso anno (1730) e la cui approvazione è datata per il primo 7
giugno e per il secondo 6 luglio, essi rivendicano nel titolo la loro forma
epistolare e coprono lo stesso spaccato temporale: d’Allainval esamina
l’operato di Baron che era morto nel 1729 e di Adrienne Lecouvreur appena
scomparsa in modo drammatico il 20 marzo 1730; entrambi gli attori hanno
uno spazio di rilievo in d’Aigueberre che li pone al centro del dibattito sulla
naturalezza e la semplicità.
de la declamation (par du Mas d’Aigueberre), publiées par Jules Bonnassies et ornées de portraits,
Paris, L. Willem, Libraire-Éditeur, M.D.CCC.LXX.
26 Sabine Chaouche, nel suo testo Sept traités sur le jeu du comédien et autres textes. De l’action
oratoire à l’art dramatique (1657-1750), Paris, Champion, 2001, richiama un estratto della
Seconda lettera (rispettivamente pp. 12-19 dell’edizione del 1730): cfr. «Document n° 2»,
pp. 486-496. Nel recente saggio di Claudio Vicentini, la Lettera viene diffusamente esaminata
e opportunamente ricollocata nell’ambito dell’esegesi critica della prima metà del
Settecento, ché essa «sanciva di fatto la nascita della moderna critica della recitazione» (C.
Vicentini, The Critique of Acting and the Development of Emotionalism. D’Aigueberre, Cibber,
Aaron Hill and Rémond de Sainte-Albine, in Acting Archives Essays, AAR Supplement 14,
febbraio 2012, pp. 1-5; e La teoria della recitazione. Dall’antichità al Settecento, Venezia, Marsilio,
2012, pp. 212-219).
27 Nell’Avviso, sorta di premessa alla Seconda lettera [Avis du garçon de Caffé au lecteur sur la
lettre de son ami], il destinatario racconta che avendo ricevuto la lettera, ne fa una copia per
un suo amico il quale, pur non essendo autorizzato, corre a leggerla agli attori. Secondo
Bonnassies il fatto accadde realmente come risulta da un documento della polizia, datato 14
giugno 1730 (Parigi, Biblioteca dell’Arsenal). In esso si attesta che l’Abate Claude Cherrier,
all’epoca censore dei testi presentati per essere pubblicati, aveva letto la Lettera nel foyer
destando le ire degli attori e che un’attrice «Mademoiselle La Mothe si era lamenta con voce
stridula perché non vi era stata nominata» (vedi la Notice nell’edizione della Seconda lettera
curata da Bonnassies, cit., pp. 3-4, e quindi la nota di Bonnassies alla p. 6 della lettera. In
proposito cfr. C. Vicentini, La teoria della recitazione, cit., p. 213).
Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen
223
La Seconda lettera28 costituisce il resoconto delle conversazioni ascoltate
casualmente durante una cena dal narratore (il suggeritore) che si trova in
compagnia di un suo amico comédien,29 su di esse vengono ad innescarsi le
loro reazioni e i loro commenti. La molteplicità delle voci e dei punti di
vista, alle volte opposti in altre convergenti sulla recitazione, permette a
d’Aigueberre, di elaborare una teoria che sembra delinearsi proprio
durante e grazie al progredire del dialogo. Ciò lo porta allora a una
riflessione sulla declamazione e sui difetti comuni degli attori, a interrogarsi
se esistano rigorosi parametri universali di giudizio, sovente dettati più da
un’impressione fuggevole, da una simpatia o antipatia personale o dalla
sola emozione, e su quanto una giusta critica possa essere costruttiva per
l’attore. Egli chiarisce inoltre un aspetto importante della critica teatrale
ancora tutta da inventare: essa non deve prendere in esame l’individuo,
bensì esclusivamente il suo essere in scena, per cui l’arte attoriale, avulsa da
quanto ci possa essere di personale, può dar luogo a giudizi come qualsiasi
altra forma d’arte; lungi dal rivestire una funzione distruttiva e censoria
essa deve dare il suo apporto concreto all’elaborazione di una teoria. Le
osservazioni che saranno avanzate avranno la funzione di svelare il larvato
e il non detto e di indicarne il significato più profondo; d’Aigueberre non
ha un metodo speculativo del tutto definito, ma grazie alla sua sensibilità e
a un coinvolgimento libero da preconcetti è in grado di indicare una strada
possibile e fruibile.
D’Aigueberre sostiene che non sempre l’attore è veramente in grado di
interrogarsi sulla propria professione; orgoglioso e pieno di sé, avido solo
del plauso e insofferente a qualsiasi osservazione che suoni come una
censura; peraltro l’incapacità di giudicarsi del comédien è da attribuirsi al
consenso indiscriminato del pubblico che cerca in lui il reiterarsi di modelli
conosciuti piuttosto che la novità. In mancanza infatti di una scuola di
recitazione (i primi tentativi più o meno istituzionalizzati saranno quelli di
28 Il «Mercure de France» di settembre 1730, nella rubrica «Nouvelles Littéraires des Beaux
Arts &c.» (p. 2232), dà notizia della messa in vendita della Réponse du souffleur (A Paris, Quai
de Conti, chez Tabarie, brochure in 12 di 71 pp.), e passa poi al rendiconto della Seconda
lettera, estrapolando alcuni passaggi significativi su Baron e la Lecouvreur e riportando le
opinioni di d’Aigueberre sulle discutibili propensioni del pubblico e sulle prerogative
necessarie per essere un buon attore, ma senza esprimere il benché minimo giudizio
(«Mercure de France», settembre 1730, pp. 2233-2237).
29 Non si è tradotto il termine comédien, non essendoci un corrispondente lemma in italiano.
Nella più larga accezione del termine è colui che recita nelle commedie, in opposizione a
tragédien, colui che recita nel repertorio tragico. Nel Settecento il termine indica un attore in
grado di interpretare indifferentemente i ruoli e le parti dei diversi generi con altissima
capacità scenica. I Grands Comédiens erano stati così definiti gli attori della troupe dell’Hôtel
de Bourgogne, mentre gli attori della Comédie-Française di Parigi si fregiavano del titolo di
Comédiens Français ordinaires du Roi. Questi imporranno alla scena francese i loro moduli
interpretativi e per un certo periodo serviranno di modello all’Europa.
AAR Anno II, numero 3 – Maggio 2012
224
Préville a fine Settecento),30 l’aspirante attore si forma calcando qua e là
palcoscenici privati o di provincia nella speranza di essere notato e di
venire chiamato dalla Comédie-Française dove, dopo aver dato prova delle
proprie capacità attoriali tanto nel tragico che nel comico, sarà nominato
prima a fare da rimpiazzo e poi a riprendere definitivamente, se all’altezza,
i ruoli appartenuti all’attore da sostituire. Così viene a crearsi una vera e
propria reiterazione dei moduli interpretativi in modo acritico che non
sempre dà i frutti attesi. Così la dizione cantilenante e boursouflée, se appare
superata, continua tuttavia ad avere i suoi fautori.
Alla tipologia di uno spettatore capriccioso e prevenuto, di un attore
superficiale che propone sul palcoscenico la recita di se stesso e non del
personaggio, d’Aigueberre vuol sostituire una profonda riflessione
sull’actio attoriale che è si declamazione, tono di voce, intensità, pronuncia,
musicalità, ma anche espressività emotiva, interazione, movimento,
gestualità. Se nella Seconda lettera d’Aigueberre offre puntuali riferimenti
sugli attori e sulle pièces, non accenna affatto ai testi teorici sulla
declamazione, anche piuttosto recenti come ad esempio il Traité du récitatif
di Grimarest31 in cui il capitolo VII si intitola De la Déclamation, certamente
molto prescrittivo nei riguardi dell’interprete (l’Attore deve…, che un
Attore studi) e teorico per quanto concerne la resa dei sentimenti (accenti
diversi per l’amore, l’odio, il desiderio, la gioia…) e dei giochi retorici,
quindi ben diverso dalla plurivocità del Nostro, eppure alcuni punti in
comune risultano evidenti. Anche Grimarest richiama i «movimenti della
Natura», l’identificazione totale dell’attore col personaggio («consiglio a
qualsiasi Attore di non rappresentare nessuno di questi personaggi se non
entra interamente nel suo carattere»), un’adeguata gestualità («l’eloquenza
del corpo è necessaria all’attore quanto quella della voce»), segno che
talune tematiche erano particolarmente sentite e condivise. Un altro testo
doveva essere senz’altro conosciuto da d’Aigueberre, le Réflexions sur l’art
de parler en public di Jean Poisson32 col quale si trova più di una volta in
sintonia.
30 Già l’Abbé d’Aubignac, nel suo Projet de réformation du théâtre del 1657 ne aveva auspicato
l’istituzione e Luigi Riccoboni nelle sue Pensées sur la Déclamation si dice «étonné» (stupito)
che non si sia pensato a creare delle scuole apposite (L. Riccoboni, Pensées sur la Déclamation,
Paris, Prault fils, M. DCC. XXXVIII, pp. 43-44). Eppure Marmontel resta dell’opinione che «il
mondo è la scuola di un attore, immenso teatro, dove tutte le condizioni, tutte le passioni,
tutti i caratteri sono in gioco» (J.-F., Marmontel, Élémens de Littérature Française, 8 voll., Paris,
Persan et Cie., 1822, vol. III, p. 24).
31 Jean-Léonor Le Gallois, sieur de Grimarest, Traité du récitatif dans la lecture, dans l’Action
publique, dans la déclamation, et dans le chant. Avec un traité des Accens, de la Quantité & de la
Ponctuation, A Paris, chez Jacques Le Fèvre et Pierre Ribou, M. DCC. VII.
32 Réflexions sur l’art de parler en public, par M. Poisson, Comédien de sa Majesté le Roy de Pologne,
& Electeur de Saxe, M. DCC. XVII (s. l.). È anche probabile che d’Aigueberre avesse potuto
leggere il poema in terza rima, pubblicato a Londra anch’esso nel 1727 di Luigi Riccoboni,
Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen
225
Ma cosa ingloba di preciso il termine declamazione? Pochi anni dopo ne
darà una definizione breve ma esplicita Luigi Riccoboni: «L’Arte della
Declamazione consiste nell’associare a una pronuncia svariata l’espressione
del gesto, per meglio far sentire tutta la forza del pensiero».33 Ma si può
davvero parlare di «arte» a tal proposito? Lévesque de La Ravallière
metteva l’accento sul fatto che raffrontandola ai precetti aristotelici «si
potrebbe obiettare che la declamazione non è un’arte perché le sue regole
sono arbitrarie e indecise e che non sono fissate né tutelate in trattati
specifici».34 D’Aigueberre non si lascia irretire in una teorica astratta, né si
rifà come altri alla dottrina dell’oratoria,35 ma confrontandosi con pregi e
difetti degli attori che osserva in scena elabora una sua teoria sulle regole e
le tecniche.
Se alla base delle sue enunciazioni speculative resta l’imitazione della
natura nelle varie, molteplici sfaccettature e il rispetto della
verosimiglianza, il buon attore, per d’Aigueberre è colui che in scena
«commuove o rallegra». Ma per emozionare gli altri l’attore stesso deve
essere commosso, unico modo possibile per esprimere la passione: non
quindi vacui stereotipi formali, quali enfasi o finzione, sibbene un’assoluta
osservanza della sfera emotiva in totale partecipazione con la realtà del
personaggio che si porta sul palco.36 È attraverso il primato del sentimento
che l’attore ha presa sul pubblico e a mo’ di esempio d’Aigueberre ricorda
in particolare le prestazioni di Adrienne Lecouvreur e di Baron, entrambi
capaci di comunicare una larghissima gamma espressiva e di restare
sempre naturali.
L’attore deve contare su un talento naturale al quale va a sovrapporsi un
coacervo di requisiti correlati: tecnica, metodo, portamento, voce,
temperamento, personalità. Ma la dote imprescindibile da possedere al
Dell’arte rappresentativa, ampiamente tradotto e discusso nella Lettre d’un comédien français,
attribuita a Pierre-François Guyot Desfontaines (1685-1745), Paris, Vve Pissot, 1728.
33 Luigi Riccoboni, Pensées sur la Déclamation, cit., p. 3. Il testo è tanto più interessante in
quanto scaturisce dalla sua esperienza di attore affermato, pur mantenendo in sottofondo il
modello dell’ars oratoria. Cfr. anche l’articolo ad vocem di Marmontel pubblicato nel IV
volume dell’Encyclopédie (1754).
34 Essay de comparaison entre la déclamation et la poésie dramatique, cit., p. 19. Peraltro Charles
Duclos concluderà vari anni dopo che, data la complessità dei fattori in gioco, la creazione di
un sistema di notazione della declamazione appare irrealizzabile (Cfr. C. Vicentini, La teoria
della recitazione dall’antichità al Settecento, cit., pp. 213-214.
35 Era, all’epoca, un susseguirsi di citazioni tratte dalla retorica classica: Demostene,
Cicerone, Quintiliano… Il primo vero trattato a staccarsi definitivamente dalle pastoie
dell’arte oratoria è posteriore di alcuni anni; cfr. Pierre Rémond de Sainte-Albine, Le
Comédien, Paris, M. DCC. XLVII.
36 Era la raccomandazione che Molière impartiva agli attori della sua compagnia alla fine
della prima scena dell’Impromptu de Versailles: «Cercate dunque di assumere il carattere dei
vostri ruoli, e di immaginarvi che siete ciò che rappresentate».
AAR Anno II, numero 3 – Maggio 2012
226
massimo grado è il feu,37 termine che per la sua valenza polisemica indica
l’impeto e l’ardore nell’azione ma anche passionalità, entusiasmo, fervore,
esaltazione, furore, estro, espressività, veemenza, vigore e possanza fisica.
Non è da stupirsi che nella prospettiva emozionalista di d’Aigueberre
numerose ne siano le occorrenze e che esso appaia quale elemento innato
ma da sorvegliare perché esprimerlo con scarso rispetto della
verosimiglianza provoca l’effetto contrario, vanificando la credibilità del
personaggio.38 L’attore dovrebbe valersi di uno spiccato senso di
autocontrollo, conscio del fatto che infinite sono le sfumature espressive e
che nulla si acquisisce in modo immutabile; non sempre lo stesso gesto
sortisce il medesimo effetto se il contesto muta.
I ruoli e gli interpreti sono fatti gli uni per gli altri, afferma d’Aigueberre, la
fisionomia, la statura e il portamento possono condizionare le scelte
interpretative dell’attore che dovrebbero essere commisurate alla sua
fisicità e al suo talento onde rendere credibile il personaggio in quanto la
natura lo designa per un certo ruolo, non per un altro. Ma ciò non sempre
accade in quanto la rigida struttura della Comédie-Française impone una
distribuzione in funzione dei ruoli, derivanti questi dal repertorio classico,
e della gerarchia alla quale i comédiens si richiamano per cui sovente un
attore in età avanzata interpreta un giovane re a discapito della
verosimiglianza. Questa impostazione così poco flessibile non è condivisa
dal Nostro che la giudica come inutile abuso pregiudizievole spesso alla
riuscita della pièce e al quale è tanto più sensibile in quanto esso si è
verificato al momento della messa in scena dei Tre spettacoli.
Malgrado la scarsa fortuna conseguita nell’ambito del mondo teatrale,
d’Aigueberre appare ben introdotto nella società intellettuale del tempo
tanto che Voltaire, scrivendo da Parigi al conte di Sade nell’ottobre del
1733, gli suggerisce, una volta arrivato a Tolosa, di andare a trovare
«l’amico d’Aigueberre, consigliere al Parlamento, lo credo, in fondo, degno
di voi, benché non sia molto brillante. Gli farete leggere questa pièce [si
tratta del manoscritto della tragedia Adélaïde du Guesclin che andrà in scena
a Parigi il 18 gennaio 1734], ma senza farne una copia».39 In quell’anno
d’Aigueberre aveva del tutto casualmente permesso che Voltaire
37 Il termine feu [fuoco], ricorrente nei testi che nel Settecento si riferiscono al teatro, nel
contesto della Lettera appare intraducibile. La definizione nella prima edizione del
Dictionnaire de la langue française dell’Académie française (1694) recita: «Si dice
figurativamente dell’ardore e della violenza delle passioni e dei movimenti impetuosi
dell’anima».
38 Nelle sue Réflexions, Jean Poisson annota: «Non si può mai esprimere convenientemente
quello che non si percepisce con forza; pur tuttavia, bisogna essere padroni di se stessi, non
compenetrarsi troppo, né abbandonarsi al proprio feu e alla propria passione» (J. Poisson,
Réflexions, cit., p. 25).
39 Voltaire, OEuvres complètes, ed. Louis Moland, 52 voll., Paris, Garnier frères, 1877-1885,
vol. 33, p. 387.
Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen
227
riallacciasse amicizia con Émilie du Châtelet persa di vista dopo averla
conosciuta bambina presso il barone di Breteuil, essendoci fra loro dodici
anni di differenza.40 Voltaire tiene certamente in grande stima i giudizi del
Nostro la cui amicizia non viene meno malgrado la distanza: in una missiva
da Parigi, datata 4 aprile 1743 al momento di mettere in scena Mérope, gli
chiede quale sia il suo parere su un’attrice come Mademoiselle Dumesnil
«capace di far piangere il parterre per tre atti di seguito»41 e di portare al
successo il suo testo il che lo consola dalla delusione di non essere stato
eletto all’Académie per occupare il seggio lasciato vacante dalla recente
scomparsa del cardinale de Fleury.
Nonostante il giudizio in parte restrittivo di Voltaire, che in una lettera lo
accusa di essere un po’ troppo pigro, e una riuscita in ambito teatrale che
d’Aigueberre ha invano rincorso, seppur per breve tempo, sia nella veste di
autore che di critico, – d’altronde è da supporre che gli incarichi ufficiali gli
abbiano impedito di dedicarsi a un’arte che richiede dedizione assoluta – a
distanza di tempo, gli estensori delle Anecdotes dramatiques42 si
rammaricano del fatto che egli non abbia perseverato in quella carriera di
commediografo intrapresa negli anni giovanili:
Le felici disposizioni che si notano nelle sue commedie, fanno rimpiangere che
abbia abbandonato quel genere. Molto probabilmente, con un po’ più di
«culture» [nel senso di abilità, studio], i suoi talenti avrebbero potuto renderlo
celebre fra gli autori teatrali. La sua pièce dei Tre spettacoli annuncia
sicuramente uno spirito capace di occupare la scena e di esservi applaudito.
Nell’opinione comune del Settecento d’Aigueberre resta così l’autore di un
solo testo e la Seconda lettera, molto più innovativa dei suoi tentativi teatrali
e forse per questo mal recepita – anche le idiosincrasie espresse in modo
esplicito possono avergli inimicato critici, teatranti e spettatori – dovrà
aspettare più di un secolo per essere portata all’attenzione degli studiosi.
40 Ed è una lettera addolorata che Voltaire invierà a d’Aigueberre alla morte di Madame du
Châtelet, ricordando la parte da lui avuta nel fargliela incontrare; ora che è scomparsa «nel
modo più funesto» egli si ritrova solo al mondo. In questa stessa missiva del 26 ottobre 1749
Voltaire, a conoscenza di un progetto di d’Aigueberre di trasferirsi a Parigi, gli propone di
dividere con lui l’abitazione di Rue Traversière, ormai troppo grande dopo la scomparsa di
Émilie: «vi confesso che sarebbe per me una grandissima consolazione di poter trascorrere
con voi il resto dei miei giorni» (Voltaire, OEuvres complètes, cit., vol. 37, pp. 74-75).
41 Ivi, vol. 36, pp. 197-198.
42 Jean-Marie-Bernard Clément et Joseph de Laporte, Anecdotes dramatiques, Paris, Veuve
Duchesne, M. DCC. LXXV, 3 voll., vol. III, p. 3 (ad vocem). Il testo viene ripreso da Antoine-
Alexandre Barbier, Nouvelle Bibliothèque d’un homme de goût, entièrement refondue, corrigée, et
augmentée, Paris, Duminil-Lesueur, 1808-1810, 5 voll., vol. II, p. 145.
AAR Anno II, numero 3 – Maggio 2012
228
Avviso del garzone del caffè al lettore sulla lettera del suo amico∗
Non appena ricevuta la Lettera, decisi di farne circolare delle copie in
incognito. Non volendo offendere nessuno e condividendo la visione del
mio amico, andai a portare la mia critica a un certo importante personaggio
perché l’esaminasse. Ma mi trovai in una situazione intricata. Lui era un
amico dei pensionnaires dei comédiens e avevo più di una ragione per contare
sulla sua discrezione. Eppure approfittò della mia confidenza solo per
abusarne e corse seduta stante a darne personalmente lettura al foyer. È
facile immaginare quanto il manoscritto apparisse divertente per i
comédiens. In un primo tempo lo trovarono esecrabile, contrario alla buona
creanza e fu deciso all’unanimità che bisognava proscriverlo e darlo alle
fiamme, in quanto libello diffamatorio.
Ma quando la lettura fu terminata e si fece passare il testo di mano in
mano, ognuno dimenticava la causa generale e pensava solo a se stesso.
Alcuni si rallegravano di esser sfuggiti alla critica, altri erano contenti di
esser stati risparmiati, gli sfortunati trattavano l’autore d’ingiusto e
d’ignorante. Tuttavia ciascuno guardava ai compagni e sembrava
approvare tutto quanto non lo riguardasse. Ero felice di vedere che questi
signori non si dividevano che per essere d’accordo e guardavo già ai loro
sentimenti come altrettanti suffragi favorevoli, quando fui stordito da un
oratore impetuoso che, con voce roca, gridò, minacciò e parlò così a lungo e
tanto rapidamente da non poterlo né seguire né intendere. Presi dunque il
mio partito e, uscendo dal cantuccio dove mi ero nascosto, mi misi a
riflettere a ciò che dovevo fare. Se mantiene la sua parole e se scrive come
parla quando è eccitato, il pubblico può aspettarsi di veder apparire un
grosso volume infarcito di latino, di grammatica e di lacerti di storia.
L’indomani ci fu un’altra scena con colui che aveva così ben mantenuto il
segreto. Andai a trovarlo, travestito come il giorno precedente, mi feci
passare per l’autore della Lettera e, facendo finta di non essere al corrente
del brutto tiro che mi aveva giocato, gli chiesi ciò che pensava del mio
modesto manoscritto.
– Penso, mi disse con cortesia affettata, che è molto piacevole; ma ci avete
pensato; è permesso parlare così di persone viventi?
– Ma come, ribattei, cosa ci trovate da ridire? I comédiens stessi sarebbero
meno severi.
– Non sperateci, rispose il mio censore, so il contrario e lo so proprio da
loro.
Mi finsi meravigliato e mi confessò che aveva comunicato loro l’idea della
Lettera, ma che si era ben guardato dal leggerla, che conosceva fin troppo
∗ Sarebbe opportuno leggere questo Avviso dopo aver letto la Lettera.
Si rispetta l’uso della grafia dei nomi del testo originale. Le note in corsivo sono di
d’Aigueberre quelle in tondo del curatore-traduttore.
Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen
229
gli stretti obblighi di una persona a cui vengono fatte simili confidenze, che
bisognerebbe essere un uomo senza fede per abusare del segreto inviolabile
che è dovuto in tali circostanze. Avrei potuto seduta stante provargli la
menzogna e rovesciare il suo giudizio contro di lui, ma dissimulai per
spiegarmi meglio.
Gli dissi che, da sempre, ciò che è pubblico è soggetto a censura: si critica
un discorso, un libro, un’opera teatrale e quanto si esige da un censore, per
meritare la qualifica di saggio e di moderato, è di attenersi scrupolosamente
all’argomento, senza occuparsi dei difetti personali. Un comédien non è da
rispettare più di un autore; la sua declamazione non è meno pubblica di
una pièce, per cui si può certamente avere lo stesso diritto sia sull’una che
sull’altra. Ora qui si parla dei comédiens in quanto attori; è l’arte che si
critica e non le persone; non vengono attaccati né la loro condotta né i loro
difetti se non in relazione alla loro professione; li si giudica come a teatro.
Cosa c’è, in questo, che possa impedirmi di distribuire delle copie? Infine,
gli dissi, questo modesto lavoro non può che essere utile e al pubblico e agli
stessi comédiens. Questi, riconoscendo i loro difetti, potranno correggerli, e
gli spettatori, trovandovi dei principi innegabili, potranno biasimare o
applaudire con discernimento.
Benché io non sia che un neofita, o meglio, benché io non abbia che
un’infarinatura di scienze e di belle lettere, mi accorsi presto che una
posizione non costituisce di per sé una ragionevole pregiudiziale in favore
di chi la occupa, e che infine l’apparenza mi aveva tratto in inganno e che il
mio uomo è più capace di intendere un ragoût che il merito di un libro. Non
indugiai a rivelargli ciò che gli avevo tenuto nascosto fino ad allora e ci
separammo, lui pieno di stupore e di stizza, e io ben deciso a rendere
giustizia alla sua buona fede con questo breve chiarimento.
Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen al garzone del
caffè, ovvero conversazione sui difetti della declamazione
Dopo la mia ultima Lettera, mi è capitata un’avventura il cui racconto,
credo, vi interesserà.
Uno dei nostri comédiens e io, loro umilissimo suggeritore, avendo deciso di
cenare a quattr’occhi per filosofare a nostro agio, andammo, dopo lo
spettacolo, da un trattore. La stanza che ci assegnarono era contigua a una
più grande, dove si trovava una compagnia di quattro persone: vale a dire,
due consiglieri del nostro Parlamento e due gentiluomini di Parigi che
andavano a Londra, dove già avevano soggiornato per qualche tempo con i
nostri due consiglieri. Un tramezzo separava la loro stanza dalla nostra e
sentivamo distintamente tutto ciò che dicevano. Fummo tanto più attenti
ché, alla fine della cena, la loro conversazione cadde sulla declamazione e
sui difetti comuni degli attori.
Ecco come cominciarono. All’inizio i nostri cittadini fecero il nostro elogio e
i Parigini vi aderirono molto garbatamente, concedendoci persino qualcosa

TRADUZIONE E BIOGRAFIA

Valeria De Gregorio

Valeria De Gregorio Cirillo è Professore di Letteratura Francese presso l’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’. Ha scritto sulla letteratura francese dell’Ottocento (Gautier, Latouche, Lamartine, Zola e in particolare Huysmans: L’Universo narrativo e simbolico, En Rade, 1999) e del Settecento: Pratique et passion de l’écriture. Saggi su Madame de Genlis (2003) e l’edizione di OEdipe (2000) di Voltaire. Ha tradotto e curato l’edizione de Les Mémoires d’une inconnue di Julie-Marie Cavaignac (2009). In ambito teatrale ha scritto: I ‘Comédiens français ordinaires du Roi. Gli spettacoli francesi al Teatro del Fondo nel periodo napoleonico’ (2007) e Un attore e il suo repertorio dall’Antico Regime alla Restaurazione: Jean Mauduit Larive (2010).
valdegregorio@libero.it

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